La morte di un animale domestico. Parla lo psicologo
Giornalista e fotografa Milanese, laureata in filosofia con una tesi svolta alle isole Hawaii sulle competenze linguistiche dei delfini. Ha collaborato come giornalista free-lance con settimanali e mensili (Famiglia Cristiana, Airone, D la Repubblica delle Donne, l'Espresso, Mondo Sommerso, New Age), scrivendo sempre di animali e accompagnando gli articoli con le sue foto. Ha lavorato anche all'enciclopedia sul gatto della De Agostini. Negli ultimi tempi la fotografia d'autore è divenuta la sua occupazione principale.
Quando qualche anno fa è morto il mio gatto, ho provato un dolore grandissimo. Agostino, così si chiamava, mi ha fatto vivere un’esperienza importante. Era arrivato inaspettatamente in un periodo particolare della mia vita e per tanti anni, nonostante fosse già anziano, mi è stato accanto sempre, condividendo la poltrona, le vacanze, i miei umori e riempiendomi la giornata semplicemente con la sua presenza.
Agostino era un bellissimo gatto rosso di dimensioni sproporzionate che vinceva sempre al gioco dell’oca con mio figlio, il quale trattandolo come un suo pari si arrabbiava con lui seriamente e non c’era verso di fargli capire che era “solo un gatto”.
Funzionava così: Leonardo sceglieva la sua pedina e una la affidava ad Agostino. I dadi venivano tirati a turno e quando toccava al gatto, che era sempre molto composto e fermo nella sua postazione, bastava metterglieli vicino che con una zampata secca li faceva rotolare sul pavimento. Si spostava la pedina nella casella giusta poi si ritiravano i dadi.
Non è uno scherzo: Agostino vinceva sempre, facendo immancabilmente montare la rabbia di mio figlio che non capiva come mai i risultati fossero così sbilanciati. A dire il vero la fortuna sfacciata di Agostino sorprendeva tutti.
Figli per sempre
Quando ho letto il piccolo libro È solo un gatto, scritto dalla psicologa Elena Angeli, proprio sul lutto degli animali domestici, o meglio d’affezione, come si usa definirli oggigiorno, ho trovato tanti spunti di riflessione su un tema molto diffuso, ma davvero poco trattato.
Tanto per cominciare ho
scoperto che nei paesi anglosassoni parlare del dolore per la perdita di un
animale non è un tabù e che esiste molta letteratura che descrive questo stato
d’animo che ha un nome preciso: pet loss.
La dottoressa spiega che «la morte di un animale può essere considerata da un
punto di vista psicologico, un lutto a tutti gli effetti.
Gli studi psicoanalitici più classici sostengono che la tipologia del lutto dipende in maniera sostanziale dal tipo di relazione instaurata con l’affetto in questione. Nel caso degli animali domestici non è quasi mai di tipo conflittuale, al contrario si tratta quasi sempre di relazioni intense e appaganti.
I proprietari non sono mai giudicati dai loro amici a quattro zampe e qualunque cosa facciano, sono sempre benvoluti. La relazione uomo-animale è scandita da condivisioni, abitudini e ritualità. La comunicazione non è di tipo linguistico, ma si manifesta attraverso i gesti, le carezze e da azioni compiute insieme.
Questo rende il rapporto molto intenso a livello emotivo, toccando tasti profondi, quasi primitivi dell’animo umano. L’animale dipende da noi per tutta la sua vita, per il cibo, le passeggiate, la pulizia, le cure. Questa condizione di bisogno stimola in noi un forte senso di protezione e di controllo, diventano figli che non saranno mai indipendenti».
Lutto vero
Chi non ha mai avuto un animale domestico e non ha empatia nei loro confronti, difficilmente potrà capire la complessità e l’intensità di questo tipo di relazione.
Come tutti i rapporti complessi e strutturati, anche quelli con gli animali possono essere insani; spesso un eccessivo amore, che non tiene conto della natura e delle esigenze di un cane o di un gatto, può rivelarsi fanatico e dannoso. Ma non è di questo che stiamo parlando.
Per alcune persone il
legame con il proprio animale è una vera e propria ancora di salvezza, pensiamo
per esempio agli anziani soli o alle persone non vedenti la cui autonomia
dipende in larga misura dalla convivenza con un cane guida. In questi casi la
loro scomparsa può generare uno sconforto molto profondo.
«Talvolta si tratta di dolori sottovalutati – ci spiega la studiosa – e non è raro in questi casi il tentativo goffo di consolare con frasi del tipo, suvvia, basta disperarsi, era solo un gatto. È opinione comune che minimizzare l’accaduto sia un modo efficace di aiutare chi soffre.
In realtà deprezzare un episodio infelice produce un senso di solitudine e incomprensione ancora maggiori. Dire era solo un gatto significa non comprendere che, per chi ha subito la perdita, quello era anche un amico, un confidente, un compagno di vita, un membro della famiglia, qualcuno a cui voler bene».
Tempo fa, Margherita Hack scrisse per un mio lavoro un commento molto bello, di cui vi riporto una parte «c’è chi sogna di incontrare gli extraterrestri e non ha mai avuto un cane o un gatto e non sa che cosa ha perso, di quanto affetto e intelligenza sono capaci. (…) Non conoscere e non amare gli animali è una grave perdita per la nostra stessa vita e felicità».
Per maggiori informazioni
elena@amicidichicco.it
Il libro È solo un gatto (ed. bookrepublic.it) sotto forma di e book è in vendita su Amazon al costo di 0,99 centesimi.
Foto di S. Amodio
Nella foto di fine articolo l'intervistata Elena Angeli, psicologa
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