Un grande fotografo si racconta. Il Cristo velato e Ilaria Del Carretto fotografati a lume di candela
Giornalista e fotografa Milanese, laureata in filosofia con una tesi svolta alle isole Hawaii sulle competenze linguistiche dei delfini. Ha collaborato come giornalista free-lance con settimanali e mensili (Famiglia Cristiana, Airone, D la Repubblica delle Donne, l'Espresso, Mondo Sommerso, New Age), scrivendo sempre di animali e accompagnando gli articoli con le sue foto. Ha lavorato anche all'enciclopedia sul gatto della De Agostini. Negli ultimi tempi la fotografia d'autore è divenuta la sua occupazione principale.
Nino Migliori con la celebre foto “Il tuffatore” - Foto C. Mondino
«Le donne hanno una sensibilità maggiore in questo mestiere, mentre nelle fotografie scattate dagli uomini spesso traspare una certa supponenza. Le donne arricchiscono il lavoro grazie a una mentalità più sottile e penetrante, sono delle scrittrici».
Queste riflessioni di Nino Migliori, uno fra i più importanti fotografi italiani, mi stanno particolarmente a cuore. Ho avuto il piacere di intervistarlo durante l’ultima Triennale di Milano. Lo conoscevo personalmente perché ho avuto l’occasione di esporre insieme a lui un lavoro su un progetto di cooperazione della Coop realizzato in Burkina Faso.
Nino Migliori si riferisce al lavoro di due reporter, Isabella Balena e Monika Bulaj, che quella sera tennero una conferenza, mostrando alcune immagini realizzate in zone di guerra. «La fotografia è scrittura, è la rappresentazione di uno stato d’animo e secondo me le donne sono molto più avanti degli uomini per la loro capacità di raccontare. Il futuro è vostro - mi dice sorridendo -. Riuscirei a riconoscere un progetto realizzato da una donna rispetto a quello di un uomo. Questi ultimi mirano più all’effetto speciale, mentre voi ci mettete l’anima. È da molto tempo che penso questo. Se tornassi al mondo mi piacerebbe nascere donna…».
A lume di candela
Il giovanotto ha da poco compiuto novanta anni ed è una delle menti più fresche, aperte e innovative con cui ci si possa confrontare. Una vivacità intellettuale che è il filo conduttore di tutto il suo percorso artistico e che lo ha portato a fare scelte caratterizzate da una profonda libertà intellettuale. Sono famose le sue sperimentazioni con vari materiali, dall’incisione direttamente su lastra e pellicola all’uso di fiammiferi per impressionare i negativi, solo per citarne alcune.
«Ho appena finito di fotografare il Cristo velato a Napoli - aggiunge Nino -, una statua scolpita da Giuseppe Sanmartino nel 1753. Questo lavoro fa parte di una serie che si chiama Lumen, dedicata alle statue e ai monumenti, che ho realizzato in giro per l’Italia usando solo le candele come fonte luminosa. L’idea è stata quella di vedere con gli occhi di quel periodo, quando non c’era la corrente elettrica. Ho lavorato anche in Toscana, a Lucca, dove ho ritratto Ilaria del Carretto, la scultura di Jacopo della Quercia risalente ai primi del ‘400 e conservata nella Cattedrale di San Martino».
L’attività fotografica di Nino Migliori parte da lontano. «Sono nato nel 1926 - ci racconta - e ho vissuto il periodo della guerra. È stato molto difficile, andavo a scuola e avevo paura dei bombardamenti. Quando è finita, nel ‘45, avevo voglia di vivere, di conoscere gente. La fotografia è stato un modo per avvicinarmi alle persone e per viaggiare. Sono andato al Sud con 15.000 lire in tasca e ci sono stato un mese, dormivo per terra e mangiavo quello che c’era. Siccome le pellicole costavano e non potevo permettermi scarti, quando avvicinavo le persone facevo finta di fotografare, aspettando che si sentissero a proprio agio; solo allora, quando ero convinto che l’immagine era buona, scattavo veramente».
Con i bambini
Fra i progetti realizzati che stanno più a cuore a Nino Migliori, c’è quello voluto dal Mast (Manifattura di arti, sperimentazione e tecnologia) di Bologna. Il fotografo ha giocato, se così si può dire, con i bambini dell’asilo, stimolandoli a creare opere uniche sotto la sua guida.
«I bambini hanno una mente straordinaria, fino a quando non vengono indottrinati dalla scuola e dai genitori - afferma l’artista -. Hanno realizzato fotografie grandi anche due metri con tutte le tecniche possibili e immaginabili, lavorando con il corpo, con le mani e con il materiale che avevamo a disposizione. Due troupe televisive hanno ripreso i bambini nella fase delle progettazione. Una vera rivelazione! Io mi sentivo uno di loro».
«Un giorno - conclude sorridendo - un bimbetto mi ha chiesto in prestito il cappello, quando me l’ha riportato ha esclamato: “ma tu hai i capelli bianchi: allora sei vecchio!”. Prima di allora non si era posto il problema». Questo lavoro sarà esposto oltre che a Bologna anche all’estero.
Nino Migliori mi confida che vorrebbe vivere altri 90 anni, perché sono ancora molte le cose che deve fare. In questi quasi 70 anni di attività fotografica è passato con disinvoltura dalle lastre al digitale ed è convinto che in futuro non sarà più necessario avere una macchina fotografica, ma che le immagini verranno “scattate” e trasmesse semplicemente con gli occhi.
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